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Uno dei maggiori impedimenti alla diffusione dei mobile payment con tecnologia NFC in Italia ma anche nel resto d’Europa e del mondo è stata l’incapacità degli attori coinvolti di trovare un accordo su come dividersi la torta. In altre parole telco, circuiti di pagamento, banche e produttori di smartphone, non hanno trovato un business model convincente per tutti.

L’introduzione della tecnologia Host Card Emulation (HCE), un’architettura aperta che permette pagamenti e altri servizi NFC, assicurando la presenza del Secure Element nel cloud, permettere di bypassare sia i produttori di device sia gli operatori telefonici.  HCE è supportato da tutti i dispositivi di Google che utilizzano Android Kitlat come sistema operativo e in particolare modo è appoggiato da Visa e Mastercard nel tentativo di promuovere un uso massivo della tecnologia NFC.

È interessante osservare come si stanno muovendo gli altri paesi anche dal punto di vista regolamentare per capire la possibile evoluzione di questa tecnologia e più in particolare dei pagamenti. Negli Stati Uniti, il legislatore si è fino adesso tenuto distante dal regolare l’ambito mobile commerce con una regolamentazione dettagliata e stringente preferendo lasciare che sia il mercato a determinare la migliore soluzione in termini di competitività e innovazione. In altri paesi però la situazione di presenta ben diversa.

In Cina per esempio la lobby delle banche e gli enti regolatori del governo forzano l’implementazione e l’utilizzo di leggi specifiche per impedire la concorrenza delle grandi imprese del mondo di Internet. La Banca centrale cinese ad esempio ha iniziato questo 24 marzo un iter per fissare un tetto massimo di spesa che i consumatori cinesi potranno effettuare tramite smartphone. Tale “smartphone-cap” come è stato definito dal Wall Street Journal avrebbe la ratio di “limitare un rischio di business” ancora non meglio identificato. Il regolamento avrebbe il chiaro scopo di rallentare la corsa di quei business legati all’e-m commerce sempre più affermati colossi della Rete come Alibaba e il suo rivale Tencent (sul Corriere della Sera c’è una gallery con i tentacoli delle potenze cinesi). Solo, dunque, un palese tentativo dell’ala più conservatrice dell’industria bancaria di frenare la competizione e con essa l’innovazione della monetica e del commercio online.

In Nuova Zelanda invece la situazione si presenta molto differente. È stato creato un Eente ad hoc per i pagamenti, Payments NZ, che la Banca centrale ha formato nel 2010 per preservare l’integrità dei sistemi di pagamento via mobile.  L’Ente il 25 marzo ha annunciato il lancio del “pacchetto” di Mobile Device Rules and Standards per definire regole comuni di un’offerta frammentata e sempre più rilevante per il commercio online dato che via mobile transitano in Nuova Zelanda più di 25 milioni di dollari al giorno.

Gli standard sono stati disegnati per assicurare l’integrità, l’efficienza e la sicurezza dei pagamenti effettuati on-the-go. Ciò significa che chiunque (telco, banca o OTT che sia) decida di offrire tali servizi, dovrà uniformarsi a tali regole di settore pre-esistenti. Al contrario di quanto sta avvenendo in Cina però questi standard non vogliano frenare la competizione, anzi questa si vuole accelerare in un’ottica di correttezza ed equità tra le parti coinvolte. Le nuove regole protegeranno inoltre i consumatori finali grazie agli standard di sicurezza e miglioreranno l’esperienza utente rendendola più o meno uniforme e semplice. In Nuova Zelanda quindi le compagnie nate in Internet e grazie ad Internet non sembrano essere considerate una minaccia, ma è anche vero che qui non esistono equivalenti di giganti cinesi come Alibaba o Tencent con cui le banche devono fare i conti per mantenere clienti e fette di mercato.

Alla luce di tanti approcci e spunti così diversi è lecito chiedersi come (e se) il legislatore italiano si sta preparando a regolamentare l’emergente fenomeno del mobile commerce. La speranza è che i principali interessi tutelati siano quelli del Paese, e dunque dell’innovazione.