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Stripe fa spese in Nigeria e fa sua la startup del payment Paystack, per una cifra secondo i rumors di 200 milioni di dollari.

La notizia ha due livelli di lettura. Da una parte, rappresenta un cambiamento nelle strategie di acquisizione di Stripe. La fintech, che vale oggi 36 miliardi,  finora aveva inglobato startup in grado di migliorare l’infrastruttura tecnologica dell’azienda e non si era ancora focalizzata su acquisizioni dirette di suoi competitor. 

Dall’altra, getta ancora più luce sull’ecosistema del fintech africano, sempre più territorio di attrazione per i big del payment,  come Visa, Mastercard, PayPal…  che gareggiano alla ricerca di talenti.

In questo articolo raccontiamo alcuni retroscena sull’acquisizione, offrendo poi una breve una panoramica del fintech africano. Racconteremo chi sono gli startupper che hanno saputo distinguersi in questi ultimi anni e quali sono le nazioni più all’avanguardia nella finanza tecnologica del Continente Nero.

“La Stripe africana”

Così TechCrunch aveva ribattezzato Paystack all’indomani del round, di 8 milioni, guidato proprio da Stripe, con la partecipazione di Visa e di Tencent, il colosso cinese proprietario, tra le altre cose di WeChat.

Il round era già una prova del talento dello startupper nigeriano, Shola Akinlade, cofounder e attuale Ceo della fintech. 

Shola Akinlade cofounder Paystack

Laurea in scienze informatiche, trova un lavoro in Heineken, ma presto si annoia di fare il dipendente e si mette in gioco come imprenditore. La sua prima startup, un clone di Dropbox, chiamato Precurio, cresce in poco tempo fino a raggiungere 200mila clienti. Alcuni di questi sono banche nigeriane che chiedono a Shola di aiutarle a creare software.  Forte di queste importanti commissioni, si mette a studiare l’ecosistema finanziario nigeriano e scopre tutta la debolezza della catena del payment. È allora che trova un modo per integrare una transazione con carta all’interno di una pagina web, ispirandosi proprio all’intuizione dei fratelli Collison.

L’idea piace e allora insieme a Ezra Olubi (l’attuale CTO) getta le basi per costruire Paystack, una piattaforma di payment usata oggi da più di 60mila aziende tra Nigeria e Ghana, con 20 milioni di dollari di transazioni processati ogni mese.

Decisivo per il loro percorso è l’ingresso in YCombinator e anche qui è record: è la prima startup africana ad essere ammessa al celeberrimo programma di accelerazione, proprio come è avvenuto con Stripe all’inizio del suo percorso.

Un cammino, una parabola ascendente, che giunge a un altro traguardo decisivo, l’acquisizione da parte di Stripe: «Non eravamo in vendita quando Stripe ci ha fatto la sua offerta. Quello che ci ha convinto è avere una missione comune, accelerare il payment in tutto il continente e Stripe ci aiuterà a raggiungere questo traguardo più velocemente».

Costruire la finanza

«Molte aziende hanno provato ad imitare Stripe, ma PayStack lo ha fatto nel modo più originale, provando a migliorare le cose. Ci sono alcuni dettagli che per noi di Stripe sono errori, il team di Paystack ha saputo scovarli e risolverli», è una dichiarazione di Collison che la dice lunga sulla sua ammirazione nei confronti della startup africana

Shola Akinlade non è, tuttavia, il solo talento che il fintech africano ha saputo sfornare nelle nazioni più “forti” che oggi costituiscono il suo ecosistema, la Nigeria, in primis, seguita da Kenya, Etiopia e Ghana, come segnala un interessante articolo di CoinTelegraph

La sfida per i talenti africani, e per gli investor americani ed europei, è d’altronde estremamente affascinante, in un continente in cui il 66% (dati Quartz) della popolazione è costituito da unbanked, termine che definisce gli adulti che non hanno un loro conto bancario. E nel quale l‘economia di Internet in Africa si sta sviluppando molto rapidamente, con il volume del commercio online continentale che cresce del 21% su base annua, il 75% più velocemente della media globale.

A differenza dei loro “colleghi” americani ed europei, gli startupper della finanza tecnologica africana non devono “fare disruption” nei servizi bancari competendo con gli istituti di credito.  Hanno, invece,  il compito di colmare un gap e creare un vero e proprio ecosistema finanziario per mobile, tirando fuori dal cassetto soluzioni nel mobile payment, nel lending, nell’investing…  E stando ad alcune storie di successo stanno raggiungendo anno dopo anno il loro obiettivo, grazie anche al supporto dei venture che hanno investito  solo nello scorso anno, 491.6 milioni nelle startup made in Africa (dati African Tech Startups Funding Report 2019), di cui più della metà sono stati destinati al fintech.

I leader del fintech africano

Nell’articolo di Quartz, “Everything you need to know about African Fintech right now” ,  la rivista tech fa una breve cronistoria delle tappe più importanti del fintech africano nello scorso anno. Oltre al caso di successo di Paystack, vengono citati quelli che sono oggi le fintech protagoniste dell’ecosistema.

Tra queste Flutterwave, sempre focalizzata su soluzioni di payment e fondata da  Olugbenga Agboola,  che ha ottenuto un round di 20 milioni da Mastercard. Sempre  il leader americano dei pagamenti digitale ha investito 50 milioni su Jumia Pay, “l’Amazon africano” che vede tra i cofondatori, Tunde Kehinde che è riuscito a raccogliere centinaia di milioni di dollari, per poi quotare la sua “creatura” al Nasdaq con un market cap di 660 milioni.  Mentre Visa ha guidato il round di investimento (170 milioni complessivi) per  Branch, piattaforma di lending online con un algoritmo proprietario che determina l’affidabilità dei richiedenti prestito, nata in Kenya da Matt Flannery, e su Interswitch,  200 milioni per la fintech del nigeriano, Mitchell Elegbe,  uno dei pionieri nei pagamenti digitali in Africa.