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Come è andata davvero lo capiremo solo col passare del tempo. Le banche in Grecia hanno appena riaperto e i parlamenti europei, a cominciare da quello di Atene, hanno cominciato ad approvare il piano di salvataggio. I problemi non sono finiti, ma la fase più drammatica della crisi ellenica sembra ora essere alle nostre spalle. In attesa dell’accordo tra i Paesi dell’Unione, le certezze sul destino della Grecia erano davvero poche: lo scenario della Grexit era più concreto che mai (lo è ancora, in un certo senso, nella mente del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Shauble) e diversi economisti ipotizzavano un percorso scandito da una doppia valuta. Intanto il contante iniziava a scarseggiare, venivano messi limiti ai prelievi (massimo 60 euro al giorno), l’e-commerce quasi scompariva e Paypal, all’inizio di luglio, chiudeva i battenti. Ma da più parti cresceva l’attenzione per Bitcoin. 

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Il legame tra la crisi greca e Bitcoin

Tra maggio e giugno, i nuovi clienti di BTCGreece, unico exchange greco, salivano del 400% e l’entità media dei depositi quadruplicava, arrivando a 700 euro (il deposito minimo è 50 euro). Molti altri exchange europei hanno registrato un vertiginoso aumento di contatti dalla Grecia. È in realtà difficile dimostrare un legame di causa e effetto tra la crisi greca e l’andamento del prezzo di Bitcoin, avvertiva Fortune venti giorni fa. Le percentuali fanno impressione, ma sono sempre basate su un numero molto ristretto di persone. Gli esercizi disposti a commerciare in Bitcoin in Grecia si contano tuttora sulle dita di una mano (ad Atene sono una mezza dozzina), e un ristoratore intervistato da Bloomberg Business ha ammesso di esser stato pagato in Bitcoin quattro o cinque volte in due anni. Ma nell’ultimo mese e mezzo, le coincidenze non hanno fatto che aumentare: e certi dati non possono essere messi da parte. In parallelo alla crisi, cresceva il valore di Bitcoin. Il 16 giugno, Yannis Varoufakis dichiarava che Atene non avrebbe dovuto proporre nuove riforme per evitare il default: in contemporanea, la quotazione di Bitcoin si alzava a 257 dollari. Alla fine del mese, la criptovaluta s’impennava dopo le notizie sulla potenziale insolvenza della Grecia. Nello stesso periodo, alcuni exchange decidevano di annullare la commissione sul cambio euro/Bitcoin. Il 7 luglio, dopo la vittoria del no al referendum voluto da Tsipras, veniva raggiunto il record di 442 transazioni al secondo.  La settimana seguente, durante il nuovo giro di trattative, Bitcoin arrivava a valere 317 dollari. Il 13 luglio, finalmente, la notizia dell’accordo. Per Bitcoin, una mazzata secca: l’ascesa si ferma e inizia un massiccio sell-off. Da allora il prezzo non ha fatto che scendere, e oggi si attesta sui 276 dollari (all’inizio di giugno era a 223 dollari). 

Dubbi e scetticismo

Insomma, le tempeste del mondo reale potrebbero aver avuto un effetto piuttosto forte sulla vita della moneta virtuale. Ma si può dire sia vero anche il contrario? Per quanto ne sappiamo, il bancomat Bitcoin della capitale è ancora in funzione, anche se pare fosse usato di più prima del referendum. Una delle ragioni che può spingere a usare Bitcoin è portare denaro fuori dal Paese, e vale anche per la Grecia. Ma con banche chiuse e prelievi limitati a 60 euro al giorno, qualsiasi tipo di movimento si è fatto difficilissimo. Non é agevole né acquistare Bitcoin, né spenderli: e attività economiche disposte ad accettarli, come detto, sono ancora scarsissime. La conoscenza del denaro digitale è ancora estremamente limitata tra la gente comune  – e l’età media di 43,5 anni non aiuta. Certo, a luglio la ricerca di “bitcoin” su Google si è impennata, ma proviene da pochissimi centri, perlopiù intorno ad Atene, Salonicco e Patrasso: il resto del Paese è una cartina di un grigio uniforme, in cui si potrebbe persino leggere un certo scetticismo nei confronti delle nuove tecnologie. La maggior parte dei greci, una volta scoperta l’esistenza di Bitcoin, si fa ancora domande basilari. Basti citare le più frequenti pervenute all’exchange polacco Bitcurex: “Bitcoin è una valuta legale in EU?” “Posso usare l’exchange come conto bancario?” “C’è un bancomat Bitcoin in Grecia?”. Bitcoin non è stato mai davvero considerato un bene rifugio. 

Il digitale non basta

Proiettandosi sullo scenario complessivo della crisi e sulle sue meccaniche, un articolo di Alphaville (blog del Financial Times) fa notare che né Bitcoin né i pagamenti digitali rappresentano una soluzione ai guai del Paese. Date le restrizioni sui prelievi, come detto, le somme che si potrebbero cambiare in bitcoin sono limitate. E comunque, un cambio di massa degli euro in Bitcoin avrebbe effetti deflazionistici che porterebbero solo peggiorare la situazione. Anche l’ipotesi di una nuova dracma elettronica è fuori luogo: si svaluterebbe presto (e tanto) contro l’euro. E il passaggio alle transazioni elettroniche, con relativa tracciabilità, probabilmente avrebbe pochi effetti anche sulla raccolta delle tasse, guastata da privilegi e trucchi contabili.

Una criptovaluta garantita

I fan di Bitcoin sono quindi destinati a rimanere delusi? Mettiamola così: i titoli di vari articoli apparsi negli ultimi mesi potrebbero servire da punto di partenza per una maggiore diffusione di consapevolezza intorno alle valute virtuali. La vera svolta, stando al Wall Street Journal, potrebbe essere nell’evoluzione della tecnologia blockchain, che porterà Bitcoin a essere non una valuta ma un protocollo e una piattaforma da cui sviluppare varie applicazioni. L’esperto Michael Casey (ex reporter, ora al MIT Media Lab sulle criptovalute) ipotizza che tramite la blockchain si potranno emettere dei “pagherò” come quelli già ora usati in Grecia – talmente usati che la testata americana di fatto li definisce una valuta alternativa all’euro. Un’altra idea sarebbe quella di una criptovaluta garantita da grandi proprietà statali come isole, porti, fabbriche. L’astrazione di Casey si spinge fino a una moneta digitale per istituzionalizzare il baratto. Per ora sono riflessioni. Ma è una delle qualità di Bitcoin: forse non rappresenta un’alternativa solida per l’economia greca, ma obbliga a pensare a come funzionano i soldi. E per ora, in Grecia, è quasi impossibile sottrarsi a questo genere di pensieri.